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lunedì 31 ottobre 2022

A private war

L’ultima domanda. Tra 50 anni una persona giovane ascoltando questa intervista potrebbe decidere di intraprendere la carriera di giornalista. Cosa vorrebbe che quel giovane sapesse di Marie Colvin e del lavoro di corrispondente di guerra?” “È una domanda molto difficile. È come scrivere il proprio necrologio. Ecco, vorrei che sapesse che mi stava a cuore cosa accadeva in quei luoghi e che ne ho scritto, come dire, perché anche altri ne fossero a conoscenza, e prendessero la questione a cuore quanto me, e che per fare questo lavoro, dovunque si voglia arrivare, non ci si può permettere di cedere alla paura. La paura arriva dopo, quando è tutto finito

 

A Private war è un film drammatico, la cui trama espone scene senza veli per mostrare la dura realtà, informando lo spettatore su questioni belliche che circondano luoghi martoriati da feroci guerre, e con un particolare in più, si parla di guerre dimenticate, o peggio conflitti i cui sviluppi si vogliono nascondere all’opinione pubblica. A Private war è un film sulla storia di una delle giornaliste di guerra più influenti del mondo dell’informazione, la storia di Marie Colvin, considerata un’icona del giornalismo di guerra, la quale riuscì a penetrare e a seguire in prima fila alcuni dei conflitti più bruttali degli ultimi anni. 

La giornalista riuscì a documentare feroci guerre che hanno insanguinato paesi con storie e culture diverse, come la Siria e l’Iraq, terre come Sri Lanka e Sierra Leone, e poi Timor Est, Libia, Afganistan, Zimbabwe, Kosovo e Cecenia. Con determinazione e con coraggio realizzò dei pezzi giornalistici di grande valore, senza censure, e, dove i suoi colleghi non riuscirono a penetrare o dove i suoi colleghi dovettero abbandonare zone di guerra perché troppo rischiose, Marie Calvin, mettendo in serio pericolo la sua vita, rimase al suo posto all’unico e solo scopo di informare il mondo su ciò che stava accadendo. Il film ripercorre alcune tappe della sua carriera, mostra i dolori interni e le cicatrici indelebili tipiche di chi ha toccato con mano e in prima persona gli orrori dei campi di battaglia. 

L’ambiente di lavoro estremo influì negativamente sul suo stato psicologico, tanto da paragonare il suo disturbo a quello di tipo post traumatico dei soldati e dei civili. Infatti, sfidando la morte per documentare e per non far dimenticare le atrocità delle guerre, di riflesso il suo lavoro ha influenzato la sua vita privata. Nell’ambiente di lavoro e tra i suoi lettori era considerata una giornalista di guerra coraggiosa, e malgrado la sua alta professionalità non riuscì a sganciare il suo lavoro dal privato, pertanto le immagini traumatiche viste e vissute come inviata di guerra non lasciavano i campi di battaglia ed entravano dalla porta principale nel privato, influenzando negativamente il quotidiano. 

Nel film si nota la vulnerabilità della giornalista, un aspetto del carattere da non sottovalutare, per cui non riuscì a sganciarsi totalmente dal suo lavoro, e non riuscì a lasciare in quei territori ciò che vedeva e ciò che sentiva nei campi di battaglia, e portava a casa tutto e proprio tutto fino allo sfinimento. Nel film la vediamo determinata, impulsiva, coraggiosa, e sempre pronta a documentare ciò che vedeva e che sentiva. Il suo lavoro era estremo, viveva come i soldati e i civili, sia dove si combatteva e sia nei campi profughi; respirava la stessa paura e la stessa ansia. 

In un attentato perse un occhio, e nel letto dell’ospedale continuò a lavorare, rispettando il contratto e il suo dovere come una vera e autentica professionista. Dopo l’attentato non si arrese, e contro tutti i pareri, partì di nuovo come giornalista di guerra indossando una benda nell’occhio che aveva perso, e per questo motivo era soprannominata la giornalista pirata. Con un solo occhio riuscì a portare a termine la sua missione, continuò a calpestare luoghi martoriati dalla guerra per testimoniare in prima persona gli orrori della guerra, fino a quando la buona sorte non fu a suo fianco, fino a quando un giorno perse la vita.

A private war è un film da consigliare perché rivive e mostra l’amore per il proprio lavoro fino allo sfinimento, un delicatissimo compito la cui missione consiste nel testimoniare e mostrare al mondo intero il dramma delle guerre sanguinarie, feroci e spietate, oltre che portare dentro le mura domestiche ciò che se si vuole nascondere o che si vuole dimenticare, appunto la ferocia delle guerre. 

L’attrice che impersona la giornalista di guerra è Rosamunde Pike, e il suo modo di recitare ha colpito il segno, mostrando senza forzature, nero su bianco, un mondo violento e spietato, i sentimenti di una professionista che deve riportare all’attenzione dell’opinione pubblica azioni di guerra. L’attrice ha impersonato un personaggio crudo e severo, una lavoratrice che svolgeva un lavoro duro considerato di tipo maschile, riuscendo a descrivere con la Voce, il corpo e gli sguardi, le debolezze e i punti di forza della giornalista, sempre alla caccia di notizie tra i luoghi di guerra più pericolosi del pianeta.  

A private war è un film da consigliare e da vedere per non dimenticare la giornalista e per non dimenticare orribili guerre.

 

Scheda del film:

Titolo: A private war

Regia: Matthew Heineman

Genere: biografico, drammatico

Anno: 2018

Durata: circa 1 ora e 50 min.

Interpreti: Rosamund Pike (Marie Colvin), Jamie Dornan (Paul Conroy), Stanley Tucci (Tony Shaw), Tom Hollander (Sean arayan).

 




Nel Taccuino ci sono alter Voci con Rosamunde Pike:

A United Kinkdom l'amore che ha cambiato la storia, L’amore bugiardo, 7 giorni a Entebbe e Non buttiamoci giù

Le altre Voci con Stanley Tucci sono: Il diavolo veste Prada, Hunger Games, Julie & Julia e Il quinto potere.





Annotazione: le foto le ho scattato quando stavo guardando il film, per questo motivo sono molto mosse e non perfette.


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