Spostiamo le lancette del tempo in senso antiorario fino alla prima settimana del
mese di agosto del 1490 per rivivere ciò
che accadde nella capitale della Barbagia; ricordiamo una terribile storia di
sangue collegata ad un evento storico e ad una leggenda tramandata di
generazione in generazione fino ai giorni nostri. In quegli anni le famiglie
più potenti della capitale barbaricina erano gli Arbau, legati agli Aragonesi,
e i Ladu che patteggiavano per la casata degli Arborea. Le contese tra le due
famiglie sfociarono in una vera disamistade e la guerra esplose, senza via di
ritorno, quando scomparve un bambino della famiglia Ladu affidato per la sua
educazione ai frati francescani presenti nel territorio tra il 1464 e il 3
agosto del 1490. I Ladu cercarono il bimbo dai frati ma non lo trovarono perché,
come tutti i giorni, dopo la lezione, uscì dal convento per tornare a casa, ma senza
nessuna motivazione non fece più ritorno. Gli abitanti del luogo, appena
appresero la notizia, fecero delle ricerche approfondite in tutto il
territorio, ma di lui nessuna traccia, fino a
quando videro un corpo in un pozzo: il bambino fu barbaramente
assassinato e gettato nel pozzo del convento. Dell’efferato delitto, senza
prove, senza testimoni e senza una sentenza di condanna emanato da un tribunale, furono
accusati i frati francescani e contro di loro si scatenò una vera persecuzione,
si organizzò una caccia spietata, ma, i
frati, per evitare il linciaggio e quindi la morte, si nascosero per un paio di
giorni nella boscaglia sopra gli alberi fino a quando riuscirono a scappare a
piedi per raggiungere Oristano.
La leggenda narra che i frati, scappando, maledissero e scomunicarono gli abitanti della capitale barbaricina, inoltre si racconta che il loro odio li portò ad abbandonare il convento liberandosi di tutti i beni, compresa la polvere dai loro sandali, ad esclusione degli oggetti di valore come un crocefisso antico in legno attualmente presente nella chiesa di Santa Giusta. La maledizione non si fece attendere a lungo perché immediatamente, dopo la loro fuga, dopo solo due giorni, il 5 agosto, si scatenò un forte incendio che distrusse una parte del paese diventando una delle terre più povere dell’Isola. Questa è una leggenda, ma si pensa che nella realtà gli assassini del bambino furono gli Arbau, e per rappresaglia e per punirli furono appiccati degli incendi che distrusse il loro rione perché la contesa sfociata era legata al giudicato di Arborea e il centro amministrativo era la capitale della Barbagia; inoltre la decadenza economica del luogo è da attribuire alle epidemie che decimarono la popolazione, per tale motivo divenne uno dei paesi più piccoli dell’isola, e non da una maledizione come la leggenda ci vuole far credere.
Queste storie accaddero nel lontano agosto del 1490 ad
Ollolai, al tempo la capitale della Barbagia, un piccolo paese immerso nel
verde, nei boschi ricchi di sorgenti, conosciuto per avere a 1126 metri un balcone
naturale chiamato “la Finestra della Sardegna”. Organizzandoci come dei veri escursionisti
e non come dei dilettanti turisti, ci possiamo addentrare all’interno dei monti
di Ollolai che sono, per la loro natura selvaggia, tra i più suggestivi
dell’isola: possiamo arrampicarci fino ad arrivare al punto più alto, chiamato
Sa Punta Manna, possiamo ammirare un panorama che solo la natura ci
offre, possiamo guardare una parte dell’isola che spazia dal Mar Tirreno al Mar
di Sardegna, possiamo scrutare tutta la valle del Tirso, i monti di Santu
Lussurgiu, i piani del Marghine con i monti omonimi, il Montiferru, e infine il
Campidano superiore di Oristano. E’ questo splendore e questo panorama, ammirato
dal balcone naturale, che hanno sopranominato Sa Punta Manna “la Finestra della
Sardegna”. Al di sotto de Sa Punta Manna, nel Monte San Basilio, in una
valle ben nascosta dalla boscaglia e dagli ammassi granitici, si trova una piccola chiesa che porta lo
stesso nome del monte: San Basilio. La chiesa è chiamata così perché fu
dedicata a San Basilio Magno, il santo venerato dai monaci Basiliani gli autori
della regola Monastica che porta il loro nome.
Personalmente non ho mai potuto ammirare il bel
panorama da Sa Punta Manna perché mi è sempre mancato il coraggio e ho sempre
avuto la paura di cadere, e questa non si chiama “ansia da scampagnata” perché
il pericolo è reale. Solo poche persone si possono permettere il lusso di
addentrarsi verso questo luogo con facilità e senza rischiare la propria vita.
Quest’estate ho rivisitato il Monte San Basilio, guardavo Sa
Punta Manna dal basso verso l'alto, immaginavo il panorama che non potrò ammirare, e per tale motivo non ho
le foto da mostrare, però, per consolarmi, ho quelle della chiesa di San Basilio e
della macchia mediterranea che la circonda.
La chiesa di San Basilio |
le rovine dell'antico convento |
I racconti dove si introducono malefici mi sono sempre piaciuti :D
RispondiEliminaLorenzo
Molti romanzieri prendono come spunto la vita reale, spesso vengono fuori delle opere accattivanti; però spesso la realtà è parecchio spietata, osserva le vendette e le lotte familiari…
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