“Ci sono 239 passeggeri a bordo, 83 israeliani. Legalmente è
un problema dei francesi, la compagnia è la loro, come quasi tutti i
passeggeri. Se è un dirottamento, assicuriamoci che la stampa la capisca”
“Posso chiamare gli editori”
“È un dirottamento, hanno la chiara intenzione di sfidarci. Lo
fanno sempre. Primo Ministro, questo è un nostro problema”
“7 giorni a Entebbe” è un film così così, e sarà per la ripetizione
dell’argomento, già preso in considerazione dal cinema, non mi ha appassionato, e anche
se il valore complessivo del prodotto non è catastrofico è ugualmente al di
sotto della media.
Il film l’ho visto un paio di giorni fa, e senza leggere il sunto della storia, mi sono resa conto fin dal primo frammento che era una fotocopia di qualcosa che avevo già visto; ho riconosciuto la storia realmente accaduta e già sviscerata in altre pellicole, come ad esempio “I leoni della guerra” con Peter Finch.
Nel film si menziona uno dei casi più drammatici degli anni settanta: nel lontano 1976 ci fu il dirottamento dell’aereo Air France diretto a Parigi per imporre il rilascio immediato di diversi palestinesi incarcerati in Israele.
Il film “7 giorni a Entebbe” focalizza i drammatici eventi incentrando la storia dal punto di vista di due dirottatori tedeschi, un uomo e una donna, imprimendoli come personaggi principali.
Nella pellicola, due tedeschi e alcuni palestinesi appartenenti al Fronte Nazionale per la liberazione della Palestina, dirottano l'aereo con tutti i passeggeri e l’intero equipaggio, inizialmente in Libia per il rifornimento di carburante e dopo a Entebbe in Uganda. Dopo una serie di trattative, tra tira e molla, i negoziati falliscono, e l’esercito israeliano mette in atto un programma studiata per bene a tavolino, e con l'intervento delle teste di cuoio, che entrano in azione accerchiando e invadendo la sede in cui sono rinchiusi gli ostaggi, uccidono i tedeschi e gli altri dirottatori.
Come si può notare la storia richiede azioni drammatiche con espressioni degli attori di un certo tipo, invece, tranne pochi casi isolati, era un comunissimo film con distensioni sbiadite. Se escludiamo le troppe forzature con evidenti sorrisi distesi fuoricampo non convincenti, tra tutti gli attori si salva (ma non troppo) l’interpretazione di Daniel Brühl, e ahimè non mi ha convinta l’interpretazione di Rosamund Pike.
Da vedere senza troppe pretese, e con calma e senza spingere.
Il film l’ho visto un paio di giorni fa, e senza leggere il sunto della storia, mi sono resa conto fin dal primo frammento che era una fotocopia di qualcosa che avevo già visto; ho riconosciuto la storia realmente accaduta e già sviscerata in altre pellicole, come ad esempio “I leoni della guerra” con Peter Finch.
Nel film si menziona uno dei casi più drammatici degli anni settanta: nel lontano 1976 ci fu il dirottamento dell’aereo Air France diretto a Parigi per imporre il rilascio immediato di diversi palestinesi incarcerati in Israele.
Il film “7 giorni a Entebbe” focalizza i drammatici eventi incentrando la storia dal punto di vista di due dirottatori tedeschi, un uomo e una donna, imprimendoli come personaggi principali.
Nella pellicola, due tedeschi e alcuni palestinesi appartenenti al Fronte Nazionale per la liberazione della Palestina, dirottano l'aereo con tutti i passeggeri e l’intero equipaggio, inizialmente in Libia per il rifornimento di carburante e dopo a Entebbe in Uganda. Dopo una serie di trattative, tra tira e molla, i negoziati falliscono, e l’esercito israeliano mette in atto un programma studiata per bene a tavolino, e con l'intervento delle teste di cuoio, che entrano in azione accerchiando e invadendo la sede in cui sono rinchiusi gli ostaggi, uccidono i tedeschi e gli altri dirottatori.
Come si può notare la storia richiede azioni drammatiche con espressioni degli attori di un certo tipo, invece, tranne pochi casi isolati, era un comunissimo film con distensioni sbiadite. Se escludiamo le troppe forzature con evidenti sorrisi distesi fuoricampo non convincenti, tra tutti gli attori si salva (ma non troppo) l’interpretazione di Daniel Brühl, e ahimè non mi ha convinta l’interpretazione di Rosamund Pike.
Da vedere senza troppe pretese, e con calma e senza spingere.
Schema del film:
Titolo: 7 giorni a
Entebbe
Regia: José Padilha
Genere: drammatico
Anno: 2018
Durata: 106 min.
Interpreti: Daniel Brühl
(il tedesco Böse), Rosamund Pike (la tedesca Brigitte), Eddie Marsan (Shimon
Peres), Ben Schnetzer (Zeev Hirsch).
Alcuni link:
Trailer
in lingua originale:
www.youtube.com/watch?v=kuTBea8_-LY
Clip:
www.youtube.com/watch?v=jVQYbD2WW5I
www.youtube.com/watch?v=h4cX63AU6Y8
Le frasi in corsivo si
riferiscono a una scena del film e le ho sbobinate per il post.
N.B. immagini prelevate dalla rete tramite il motore di ricerca
Google.
Un film che mi riporta alla mente altri più o meno simili. Grazie Innassia, buon febbraio.
RispondiEliminasinforosa
Esatto, è quello che dicevo: non è nulla di eccezionale. Buona serata.
EliminaSinceramente ho lasciato....
RispondiEliminaDaniel Brühl è un ottimo attore, purtroppo raramente azzecca i ruoli giusti per lui.
Io l’ho visto tutto: è un film piatto, non c’è un minimo di drammaticità o di azione se non la presenza di armi, le espressioni facciali degli attori sono o tutti uguali o troppo rilassati per la trama. Dopo l’ottima interpretazione in Rush, Daniel Brühl merita di più non filmetti… e non ho verificato se nel film ci sono false verità.
Elimina